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Dalla Cava di Pietra alla Rocca: |
Mario
Bertoncini |
Progetto
per installazioni eoliche "en plein air" in due giornate |
“ogni
vento crea la propria forma” (proverbio giapponese)
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Molto s’è
detto e scritto, in tutti i tempi ma soprattutto nel nostro, dei limiti,
degli scopi, dei destini e persino della morte dell’arte e senza
dubbio, a dispetto di quanto detto o scritto con maggiore o minore autorevolezza,
d’arte si continua a parlare e spesso a torto o a ragione, soprattutto
a farne. Ciò che l’artista può fare – e ciò che egli fa in ogni caso anche senza la nostra benedizione – è di agire direttamente o in maniera mediata con gli elementi che la natura e l’esperienza gli hanno fornito, producendo opere comunque in rapporto con il mondo circostante; auspicabile sarebbe che queste opere fossero il più possibile non-condizionate, cioè indipendenti da clichés , da consuetudini apparentemente inevitabili. Per quanto riguarda la musica, una consuetudine da interrompere – non da eliminare, attenzione! – potrebbe essere quella che vede quest’arte confinata sempre e soltanto entro spazi chiusi. Per converso talvolta, quale rimedio peggiore del male, tra le vetuste pareti d’una corte medievale siamo costretti ad ascoltare la calibratissima e sensibilissima musica di Mozart sfocata dal vento o imbrattata da rumori di pollaio, o una sinfonia beethoveniana che si affievolisce al frastuono d’una piazza, o che venga addirittura sconciata da una gracchiante quadrifonia. Quale può dunque essere l’alternativa
desiderabile per un’arte amata oppure odiata ma comunque a dispetto
di tutto sempre presente tuttavia in un’epoca sia pure distratta
e turbolenta come quella nostra? O meglio, per scoprire le carte, quale
è la soluzione che noi caldeggiamo, volendo portare il suono
del nostro immaginario a confronto con uno spazio più vasto,
come è quello percorso dal vento o dalla magia delle campane? Chi scrive è tornato da poco tempo definitivamente in Italia, nella campagna senese, dopo anni di intensa attività in paesi stranieri. Tale ritorno, che per lui ha il valore d’una riscoperta di radici indimenticabili ed indimenticate, non vuole essere quello del pellegrino, del navigante, che provato dal mare aperto e dai molti conflitti superati, desidera soltanto assaporare il frutto del lavoro compiuto e coltivare in pace l’orticello o ammirare lontano nella valle il tramonto del sole. Il frutto che mi propongo di raccogliere, al contrario, dovrebbe piuttosto essere l’occasione d’un bilancio concreto relativo ad un lavoro più che trentennale: uno sviluppo logico di esso, una epitome forte e non un’eco di esperienze già vissute. Per non trascinare oltre una introduzione necessaria
ma che al di là di certe debite proporzioni potrebbe risultare
tediosa, terrei molto a riferire qui d’un incontro fortuito, occorso
durante giornaliere passeggiate sul monte Cetona alle cui pendici è
situato il casale nel quale ho scelto di vivere. Non lontano dalla vetta
del monte, a circa 800 metri di altezza, la vegetazione fatta di arbusti
bassi e d’un bosco composto di alberi di media grandezza si squarcia
improvvisamente mostrando una doppia scarpata concava simile alle gigantesche,
improbabili quinte d’un teatro. Esse ricordano quelle d’un
doppio anfiteatro i cui fondali, delineati e scolpiti nella roccia,
mostrano i segni d’un antico lavoro: si tratta d’una cava
di pietra ormai in disuso, alla quale si accede appunto dalla strada
comunale che congiunge Sarteano e S. Casciano Bagni, a breve distanza
da un borgo chiamato Camporsevoli. Chi mi legge non sorrida. Per mia fortuna ho avuto
finora l’occasione di tramutare in realtà alcuni sogni:
perché mai proprio questo non potrebbe far parte di quel numero? L’altro luogo nel quale è mia intenzione produrre il doppio spettacolo annunciato in questo scritto è in tutt’altra maniera altrettanto indicato ad ospitare eventi culturali d’eccezione: la Rocca di Staggia senese. Segnato da una storia millenaria, con una torre che risale al X° secolo, il complesso delle mura e delle torri di Staggia, restaurato di recente in maniera esemplare ed inaugurato il 10 giugno 2007 con i prestigiosi spettacoli dell’XI° FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLE OMBRE, per la posizione – la rocca affaccia a perdita d’occhio sulla Val d’Elsa – e per la struttura che i segni del tempo prima e l’intelligente ricostruzione poi hanno reso fantasiosamente asimmetrica, costituisce uno scenario fantastico, nell’accezione letterale del termine, e al tempo stesso un pendant inatteso alla rude bellezza della cava di pietra. Dalla Val d’Orcia alla Val d’Elsa, dalla Rocca di Staggia, che ci confida altera millecento anni di storia e d’arte toscana e italica ai molteplici aspetti ancora incontaminati della terra senese, come le scoscese ed ombreggiate pendici del monte Cetona, il progetto propone un ulteriore accento atto a mettere ancora una volta in valore un territorio d’eccezione, sottolineandone la possibile fusione con una maniera nuova e non convenzionale di fare musica e teatro. Mario
Bertoncini, Piazze di Cetona - Primavera 2007 |
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